Tumore prostatico

Il tumore della prostata è il secondo tumore più comune negli uomini occidentali, dopo quello polmonare. Il carcinoma della prostata è il principale tumore maligno che colpisce la ghiandola prostatica. È meno comune tra gli uomini asiatici (in Asia Centrale è inferiore a 3/100.000 abitanti), più comune tra gli uomini di colore, l’incidenza tra gli uomini europei è intermedia rispetto alle due precedenti popolazioni. Le cause del cancro alla prostata non sono, ad oggi, completamente conosciute. Fattori di rischio accertati sono l’età e la familiarità. Il cancro alla prostata aumenta per incidenza con l’aumento dell’età; molto raro negli uomini sotto i 45 anni diventa poi più sensibilmente più frequente. L’età media dei pazienti al momento della diagnosi è di 70 anni e coloro che hanno un familiare di primo grado che ha avuto questo tumore, hanno il doppio del rischio di svilupparlo rispetto agli uomini che non hanno avuto la malattia in famiglia (il rischio sembrerebbe maggiore per gli uomini che hanno un fratello affetto da tumore prostatico rispetto al padre). E’ bene inoltre sottolineare che IPB (Ipertrofia Prostatica bnigna) e tumore prostatico non sono correlati nonostante le due condizioni possano coesistere e spesso il tumore possa venire diagnosticato incidentalmente durante gli accertamenti per la IPB. Infatti IPB e tumore prostatico si impiantano su zone diverse della prostata: IPB zona centrale, tumore zona periferica.

Ci sono diverse forme istologiche del tumore prostatico: l’adenocarcinoma acinare (è il più frequente e el 70% dei casi origina dalla porzione periferica, con tipica localizzazione posteriore rendendolo con la esplorazione rettale), carcinoma squamoso, adenocarcinoma duttale, (ha prognosi peggiore rispetto all’adenocarcinoma classico), carcinoma a piccole cellule (è il più aggressivo), carcinomi mucinosi, neoplasie mesenchimali, come sarcomi o linfomi (tutti molto rari).

Il tumore prostatico nasce come un nodulo intraprostatico millimetrico. Questa fase può durare un tempo estremamente variabile. Può essere frequentemente multicentrico (insorge quindi in punti diversi della prostata in tempi uguali o differenti). La naturale evoluzione della neoplasia prevede l’espansione locale del tumore nel contesto della ghiandola e la successivamente la infiltrazione delle vescicole seminali, del collo vescicale e dell’uretra. Questi eventi generano la comparsa di sintomi con difficoltà alla minzione, bruciori alla minzione, stimolo frequente o anche dolore renale per infiltrazione degli ureteri. Le metastasi sono precoci a livello dei linfonodi (soprattutto linfonodi otturatori, iliaci, presacrali, retroperitoneali), successivamente verso le ossa (vertebre, ossa del bacino, femore, coste), solo in seguito altri visceri e organi.

Il tumore prostatico in fase precoce di solito non dà luogo a sintomi e viene diagnosticato in seguito al riscontro di un livello elevato di PSA eseguito durante un controllo di prevenzione o routine. Spesso il tumore prostatico può causare problemi simili a quelli della ipertrofia prostatica benigna, con alterazione del modo di urinare che diventa difficoltoso, fino alla comparsa anche di ematuria o emospermia (rispettivamente sangue all’interno delle urine o del liquido seminale). In stadio avanzato può causare, quando si diffonde a distanza con metastasi dolore osseo, spesso localizzato alle vertebre, alla pelvi o alle costole. Dato che i sintomi del carcinoma prostatico compaiono solo nella malattia avanzata, è necessario fare diagnosi quando si è ancora in assenza di sintomi, ovvero attraverso uno screening che comprende l’esplorazione rettale e il dosaggio del PSA. Lo screening individua gli uomini potenzialmente a rischio in cui è necessario eseguire ulteriori esami, primo fra tutti la biopsia prostatica. La validità degli esami di screening in generale è controversa, essendo il tumore della prostata molto eterogeneo. Alcune forme molto aggressive devono essere identificate precocemente per poter essere guarite, mentre altre forme possono avere una crescita lenta e potrebbero addirittura non essere curate ma solo controllate nel tempo (sorveglianza attiva). In genere lo screening con PSA viene proposto dai 50 fino agli 80anni di età e dai 45 anni negli uomini con storia familiare di tumori alla prostata.

DIAGNOSI

La diagnosi precoce dei tumori della prostata passa quasi sempre attraverso il dosaggio del PSA. Il PSA misura il livello ematico di un enzima prodotto dalla prostata considerato normale sotto i 4ng/dl. Molte variabili influenzano il PSA e rendono questo range di normalità potenzialmente non corretto: l’età del paziente, le dimensioni della prostata, la presenza di altre malattie prostatiche (prostatiti, IPB, traumatismi). In presenza di un PSA alterato è sempre necessaria quindi l’interpretazione e la valutazione da parte dello specialista urologo, per distinguere la situazione clinica da approfondire. L’esplorazione rettale consente all’urologo per esempio di identificare noduli di incrementata consistenza nelle zone esplorabili della ghiandola. Ci sono poi eventuali ulteriori strumenti che possono essere utilizzati dall’urologo per migliorare il percorso di diagnosi: misurazioni particolari del PSA, PCA3, PHI. Quando lo screening ha posto il dubbio e la valutazione clinica lo ha confermato, l’unico esame in grado di dare certezze e porre diagnosi di carcinoma prostatico è la biopsia della ghiandola stesa. La procedura consiste nell’asportazione di piccoli frammenti di tessuto per il successivo esame istologico. La biopsia prostatica è una procedura mininvasiva che viene quasi sempre effettuata ambulatorialmente in anestesia locale. Può essere eseguita con due distinti accessi: transrettale o transperineale. Pazienti con importanti comorbilità (cardiopatici, ad esempio) possono comunque richiedere l’ospedalizzazione per la biopsia prostatica. I campioni di tessuto prostatico prelevati vengono esaminati al microscopio per determinare la presenza di tumore, valutarne estensione (numero fi frammenti coinvolti) e aggressività (Gleason score bioptico).

Quando venisse accertata la diagnosi di tumore della prostata di deve procedere alla stadiazione clinica della malattia. Questo consiste nell’identificare le strutture e gli organi interessati dal tumore, per poter definire la prognosi e scegliere la terapia più corretta per il paziente. La stadiazione del carcinoma prostatico prevede lo studio di alcuni parametri clinici: PSA, Gleason bioptico, risultato dell’esplorazione rettale, numero dei frammenti bioptici coinvolti e, in tumori con parametri di particolare aggressività, la scintigrafia ossea total-body e la TC addome con mezzo di contrasto. Quest’ultima è capace di identificare lesioni secondarie a linfonodi e altri visceri. La scintigrafia ossea identifica metastasi ossee, che compaiono in tumori avanzati e la TC/PET con Colina può dare informazioni aggiuntive nella stadiazione di malattie avanzate, ma va riservata a casi accuratamente selezionati dall’urologo.

TERAPIA

Le terapie a disposizione degli urologi per curare il tumore prostatico sono molte, diverse. Ognuna presenta differente efficacia, effetti collaterali, indicazioni e controindicazioni, ma tutte le terapie del tumore prostatico possono ridurre in percentuali diverse la funzione erettiva, quella della continenza urinaria; ecco perchè attualmente la terapia del carcinoma prostatico deve essere confezionata “caso per caso” dopo aver studiato bene le caratteristiche del paziente oltre che del “suo specifico tumore”. Lo specialista urologo può, in taluni casi, lavorare in modo il radioterapista e l’oncologo. Le opzioni terapeutiche sono: la chirurgica con la Prostatectomia Radicale nelle sue diverse tecniche, Radioterapia o Brachiterapia, Ormonoterapia, Sorveglianza attiva (osservazione nel tempo con controlli programmati rimandando una terapia radicale solo alla sua comprovata necessità), Vigile attesa (osservazione con eventuale uso di terapie palliative), Ultrasuoni focalizzati ad alta intensità HIFU, Criochirurgia, Terapia Ormonale con BAT (blocco androgenico totale), Chemioterapia, combinazione di queste.

La scelta dello schema terapeutico da utilizzare è subordinato alla valutazione di un insieme di parametri:

del paziente (età, comorbilità, aspettativa di vita, attività sessuale, disturbi urinari ostruttivi e/o irritativi, incontinenza urinaria, disturbi intestinali e alla sua preferenza sulla scelta terapeutica), del tumore (PSA preoperatorio, grading di Gleason della biopsia, risultato dell’esplorazione rettale, numero di frustoli coinvolti, presenza di metastasi alla TC o scintigrafia…). Se il tumore fosse diffuso esternamente alla prostata, le opzioni terapeutiche cambierebbero in favore della terapia ormonale e, qualora essa non fosse più sufficiente,  la chemioterapia (sono i casi in cui si accertata la presenza di metastasi).

TERAPIA CHIRURGICA

Nell’ambito della terapia chirurgica il gold standard (standard di riferimento) è rappresentato dalla prostatectomia radicale retropubica (RRP). Le possibili alternative a questa metodica sono: la prostatectomia radicale perineale (ha lo svantaggio di non consentire di eseguire la linfoadenectomia pelvica e quindi non si può considerare radicale in senso stretto), la prostatectomia radicale laparoscopica (che ha dimostrato negli anni risultati inferiori rispetto alla tecnica retropubica in termini di continenza), prostatectomia radicale robotica (RALP). Ad oggi il principale vantaggio della tecnica robotica risiede nei migliori risultati che si possono ottenere sulla conservazione della potenza erettile essendo la conservazione dei fasci neurovascolari più facilmente perseguibile. Il limite è invece rappresentato dal fatto che per conservare i fasci neurovascolari per l’erezione senza rischiare di avere i margini chirurgici positivi (cellule tumorali potenzialmente lasciate in sede) occorre selezionare bene i soggetti candidabili a questo tipo di intervento.

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